Tra le novità introdotte dai Sofisti in filosofia, una delle più importanti concerne il relativismo conoscitivo e morale, che non riconosce valori e verità assoluti, ma solo diversi punti di vista da riferire al contesto socio-culturale in cui si sono sviluppati. Allo scopo di riflettere sull’attualità di questo tema, il testo più adeguato all’obbiettivo sembra essere un passo tratto dallo scritto anonimo Ragionamenti doppi (quasi sicuramente composto nella prima metà del IV secolo a.C.). Qui l’autore intende dimostrare come uno stesso oggetto o comportamento possa essere giudicato bello o brutto, giusto o ingiusto secondo il punto di vista socio-culturale adottato di volta in volta.
“Passo ora a quelle cose che le città e i popoli ritengono brutte. Per esempio, per gli Spartani, che le fanciulle facciano la ginnastica e si esibiscano in pubblico sbracciate e senza tunica; è bello; per gli Ioni, brutto. E per quelli, è bello che i fanciulli non apprendano la musica e le lettere; per gli Ioni è brutto non sapere tutte queste cose. Presso i Tessali, è bello per una persona prendere i cavalli o i muli dall’armento e domarli, e prendere un bove e sgozzarlo, scuoiarlo e squartarlo; ma in Sicilia è brutto e opera di schiavi. Presso i Macedoni si ritiene bello che le fanciulle prima di sposarsi amino e si congiungano con un uomo, e dopo le nozze, brutto; presso i Greci, è brutta l’una e l’altra cosa. Presso i Traci, il tatuaggio per le fanciulle è un ornamento; presso gli altri popoli, invece, è una pena che si impone ai colpevoli. […] I Persiani reputano bello che anche gli uomini si adornino come le donne, e si congiungano con la figlia, con la madre, con la sorella; per i Greci son cose turpi e contro la legge. Presso i Lidi, che le fanciulle si sposino dopo essersi prostituite per denaro, sembra bello; presso i Greci, nessuno le vorrebbe sposare. […] E io credo che se si comandasse a tutti gli uomini di riunire in un fascio le cose che ciascun di essi reputa cattive, e poi dopo di togliere dal gruppo quello che ciascun d’essi reputa belle, non ce ne rimarrebbe neppur una , ma tra tutti se le ripiglierebbero tutte. Poiché nessuno la pensa come un altro”.
Sostituendo agli aggettivi “bello” e “brutto”, che per noi hanno soprattutto un valore estetico, rispettivamente quelli di “giusto” e “ingiusto”, ci rendiamo conto che qui ci troviamo di fronte a quello che abbiamo chiamato relativismo etico/relativismo morale, a cui Protagora ha dato i natali filosofici. Con la sua teoria dell’homo mensura (“l’uomo è misura di tutte le cose, delle cose che sono in quanto sono e delle cose che non sono in quanto non sono”) Protagora ha affermato che non esiste una giustizia e una verità “assolute”, cioè “sciolte” dai vari punti di vista, ma ogni verità, o ideale, o modello di comportamento è “relativa” a chi giudica nell’ambito di una certa situazione. Questo relativismo, quindi, frantumando la realtà in una miriade di interpretazioni soggettive, distrugge il concetto di una verità unica, o di un unico sistema di valori validi per tutti e per sempre. Lo scritto Ragionamenti doppi ci propone di dimostrare che le stesse cose possono essere buone o cattive, belle o brutte, giuste o ingiuste.
“…gli uni dicono che altro è il bene, altro è il male; altri, invece, che sono la stessa cosa; la quale per alcuni sarebbe bene, per altri male; e per lo stesso individuo sarebbe ora bene, ora male...”.
Insomma, sembra che sia tutto pieno di ambiguità. In generale la bugia è una cosa “brutta”, “negativa”, perché distrugge la fiducia nella parola data e rende le persone nemiche; a volte però sembra che sia utile o produttivo mentire per fare un favore a qualcuno. Per esempio: a chi è affetto da un cancro incurabile è meglio dire la verità sul suo stato o è preferibile ingannarlo per lasciargli vivere serenamente l’ultima parte della sua vita? La bugia sembra una brutta cosa, ma a quanto pare, a volte sembra dare risultati positivi.
Quindi non esiste un criterio assoluto per stabilire che cosa sia “giusto” e “ingiusto” e tutto dipende dalle circostanze. Sentite che cosa scrive il filosofo spagnolo Fernando Savater nel suo ottimo libro “Etica per un figlio”: “Già abbiamo detto che non conviene cercare la rissa, ma allora dobbiamo permettere che una ragazza sia violentata davanti a noi senza intervenire per evitare problemi?” Individuare ciò che è giusto e, di conseguenza, ciò che è sbagliato, continua Savater “non è così facile, perché esistono criteri diametralmente opposti riguardo a quello che bisogna fare”. Che confusione!!!!
Inoltre, il relativismo culturale ed etico, è un tema di grande e profondo interesse, soprattutto adesso, un periodo della storia in cui fenomeni come la mondializzazione politica ed economica e i flussi migratori verso l’Occidente producono sempre più società multietniche, che a loro volta sollevano problemi di convivenza e di incontri di culture (e quindi norme, modalità di comportamento, regole) diverse fra loro.
Quale è la vostra posizione sul relativismo etico e culturale? E’ davvero tutto così relativo? E’ giusto, a tuo avviso, rispettare sempre e comunque i valori delle altre culture? E se queste violano alcuni fondamentali diritti umani (pensate al caso della lapidazione di Sakineh in Iran…spero ne abbiate sentito parlare)? Inoltre se tutto è relativo, allora non è mai possibile trovare una serie di principi su cui è possibile l’universale accordo? Oppure si? Buona riflessione a tutti e a tutte.
P.S. L’italiano è una lingua bellissima, musicale, intensa, con infinite modulazioni. Non ingabbiate i vostri pensieri in una forma che li violenta e li svilisce. Non fate sì che la tecnologia, utile e comoda per tutti, sia una condanna per i vostri vocabolari e deturpi i vostri linguaggi. “Ke”, “+” “-“, “nn” lasciateli a Facebook e ai messaggi del cellulare. Date una forma corretta ai vostri pensieri. Sono così interessanti, non deformateli.
venerdì 14 gennaio 2011
domenica 2 gennaio 2011
Deterministi o finalistici?


Vi sarà capitato, in certe condizioni di luce o da un particolare punto prospettico, di scorgere, o di credere di scorgere, sulla trama di una parete rocciosa, la sagoma di un volto, la forma di un animale, un disegno somigliante ad un oggetto reale. La stessa cosa la facciamo con le nuvole che passano, rintracciando nelle loro simmetrie e nelle loro forme immagini a noi più familiari. Guardiamo per esempio, questa roccia all’isola del Giglio, non lontano da noi. Non vi sembra il profilo di un uomo, con un naso sporgente e un cappello che gli cala sugli occhi? Come spiegare tale somiglianza? Qualcuno ritiene persino di riuscire a vedere nei fondi di caffè i segni di un misterioso “disegnatore”….ma se diffidiamo delle superstizioni, dell’occultismo e ci affidiamo alla forza della ragione, di fronte al signore col cappello sulla roccia dell’isola toscana non possiamo che ricorrere a una sola spiegazione plausibile: si tratta di una bizzarra causalità.
Prendiamo ora in parte un caso solo in parte simile: siamo nel South Dakota, su una parete del Monte Rushmore, dove sono raffigurati i volti di Washington, Jefferson, Lincoln e Roosevelt (quattro famosi presidenti degli Stati Uniti d’America). Possono essere interpretati come il frutto causale delle piogge che si sono abbattute sul massiccio montuoso delle Black Hills? La risposta è ovviamente negativa, perché sono stati progettati nel 1941 da Gutzon Burglum, un artista americano.
Diversamente dall’uomo col cappello, questi volti presuppongono qualcuno, in questo caso uno scultore, che li ha pensati e realizzati. In questo caso la materia e il caso non bastano a fornire la spiegazione della loro esistenza, occorre chiamare in causa una intelligenza e uno scopo che ne orienta l’azione.
Applichiamo queste categorie (la materia e il caso da un lato e l’intelligenza e lo scopo dall’altro) alla comprensione del mondo nel suo complesso: esso è paragonabile a un meccanismo mosso da un’energia cieca e senza scopo, o piuttosto è simile a un’opera di ingegno – ad esempio un orologio – che presuppone un costruttore intelligente? Si tratta di una disputa antica e, in un certo senso, perenne.
La questione, infatti, ha origini antiche e può essere schematicamente formulata in questi termini:
1. Per alcuni (il più importante dei quali è senza dubbio Democrito) l’universo, i processi cosmici e l’uomo stesso vanno considerati come un evento CASUALE di aggregazione della materia. La natura non va interpretata ricorrendo all’ipotesi di una intelligenza ordinatrice che ha organizzato il mondo secondo uno scopo e un progetto ma va interpretata con la convinzione che tutto ciò che accade è determinato da una sequenza di cause e di effetti: la materia, la natura, si organizzano in modo automatico, casuale (come in modo casuale si è organizzata la roccia dell’isola del Giglio!)
2. Per altri (e su questo fronte il rappresentante principale è Platone, ma ha avuto un “antenato” in Anassagora) la realtà naturale si spiega solo ricorrendo a un principio SOPRA-SENSIBILE, non materiale, che trascende la materia. Questa, infatti, essendo caotica e inerte, non è capace di auto-organizzarsi, ma esige l’intervento di una intelligenza che le dia forma e la organizzi in base a uno scopo. La natura, l’universo e, soprattutto, quel complesso organico vivente che è l’uomo, non è automatica e casuale, ma è un “artefatto”, ovvero il prodotto di un progetto intelligente (come i volti sul Monte Rushmore, realizzazione del progetto di uno scultore!).
Voi che ne dite? Già in classe abbiamo discusso vivacemente su questa alternativa, ma i tempi purtroppo stringono e sapete che, mio malgrado, sono sempre costretta a frenare le vostre riflessioni filosofiche. Provate a dare la vostra risposta al dilemma (caso o scopo? Ovviamente, adesso che avete imparato un po’ di lessico filosofico sapete che si può correttamente presentare l’alternativa nella forma determinismo/finalismo), ci torneremo poi più avanti, quando incontreremo altri personaggi che, dopo secoli, continueremmo a dibattere sulla questione.
Iscriviti a:
Post (Atom)