domenica 19 settembre 2010

Martin Heidegger, l'uomo e il "poter-essere"




Il signore qui sopra si chiamava Martin Heidegger. Negli anni Venti, rifugiatosi nella sua baita a Todtnauberg, nella Foresta Nera, scrisse uno dei capolavori della filosofia del Novecento: Sein und Zeit, (Essere e tempo). Un titolo ambizioso, che promette di occuparsi di tutto. Nell’ambiente universitario molti sapevano che Heidegger stava lavorando ad un’opera di grande spessore, ma nessuno si aspettava che avrebbe partorito un lavoro così ambizioso. Ma il filosofo tedesco dice di occuparsi, in quest’opera corpulenta (la traduzione in italiano conta ben 558 pagine!!!!), di una questione che da secoli era stata analizzata e studiata dai filosofi e che a noi sembra essere qualcosa su cui sia impossibile porre domande: l’essere. Peccato che la filosofia ami porre questioni anche su ciò che a noi appare come ovvio e indubitabile…Aristofane, quel commediografo che prendeva in giro Socrate, amava descriverlo come uno strano pensatore che si chiedeva quante volte le pulci possono saltare i propri piedi e se le zanzare cantino con la bocca o con il didietro…ma Aristofane non amava molto la filosofia e detestava Socrate, quindi non lo possiamo considerare un commentatore imparziale.
Ma torniamo all’essere. Siamo sicuri che l’essere sia qualcosa su cui non si possano costruire interrogativi? Che cos’è l’essere? Che cosa è che ci fa esistere? Che cosa è il nulla? Che cosa pensiamo quando pensiamo il nulla?
Evidentemente non sono questioni inutili se a partire da Parmenide, un filosofo vissuto fra il VI e il V secolo a.C., molti pensatori ne hanno fatto oggetto di indagini. Eppure, sostiene Heidegger, la nozione di essere, nonostante sia stata posta all'attenzione dei filosofi da più di due millenni e appaia astratta, ovvia e scontata, in realtà necessita di una sua riproposizione. E sostiene anche che, per comprendere che cosa è l'essere, sia necessario assumere come punto di partenza l'esistenza dell'uomo, proprio perché l’uomo è l’unica “cosa” che non solo “è”, ma che considera il suo essere, la vita stessa una questione serissima, qualcosa che deve essere pensato e problematizzato. Nessuno di noi può sfuggire agli interrogativi sul nostro essere: l’esistenza, la nostra e quella degli altri, non è forse qualcosa di misterioso e tremendo, una specie di miracolo incomprensibile sul quale non cessiamo di interrogarci?
Ma che cos'è, in concreto, l'uomo? Quali le particolarità del suo essere?
Heidegger definisce l’uomo non come “essere”, ma come “poter-essere”: egli non è una realtà fissa e determinata, data una volta per tutte, ma un insieme di possibilità fra cui l'uomo si trova a scegliere. Tutti i vari enti – le cose, gli animali, i vegetali, l'uomo stesso – hanno un essere, ma nell'uomo la relazione con l'essere è assolutamente singolare. L'essere delle cose o degli esseri viventi diversi dall'uomo esprime l'impossibilità da parte di questi di esistere diversi da ciò che sono: questa pianta che vedo sul mio balcone non può che essere una pianta, la gatta sul mio divano non può che essere una gatta, questo libro aperto su questa scrivania non può essere diverso da quello che è. La pianta, la gatta e il libro “sono”, ma “sono” in una modalità statica e immodificabile, possiedono un'essenza definita, mentre nell'uomo l'essere, esprime la possibilità da parte di questo ente di essere ciò che progetta di essere, ovvero, di mettere sempre in gioco il proprio essere che non è solidificato e immobilizzato nella semplice-presenza. Questo vuol dire che mentre gli altri enti – le cose, i vegetali, gli animali – sono semplici-presenze, hanno un essere definito, invariabile, non modificabile, l'uomo è ciò che sceglie, ciò che progetta di essere. E beati voi che siete in un momento della vostra vita in cui potete ancora progettare di essere qualcosa e non qualcos’altro (anche io, ovviamente, ho ancora un bel ventaglio di possibilità, ma dubito che potrò mai diventare un medico, un ingegnere o una campionessa di atletica!!!).
Ma davvero ci troviamo di fronte a infinite possibilità? Ma davvero il mondo dei nostri “possibili” è così ampio?
Certo la vita non è, per l’uomo, qualcosa di totalmente determinato, non è affatto un destino immodificabile. Se così fosse, tutte queste domande non avrebbero alcun senso (allora sarebbe proprio meglio,penserà qualcuno di voi! Ci risparmieremo molto studio e molti mal di testa!). Nessuno sta a discutere se le pietre debbano cadere verso il basso o verso l’alto, si sa che cadono verso il basso, e basta. Come scrive un filosofo spagnolo “I castori costruiscono dighe nei ruscelli, le api fanno arnie esagonali: non esistono castori che tentino di costruire alveari, né api che si dedichino all’ingegneria idraulica” (Fernando Savater, Etica per un figlio). Ogni animale sa perfettamente che cosa deve fare, è programmato dalla natura ad agire in un modo anziché in un altro, senza discussioni né dubbi. Forse la mosca vorrebbe che il ragno facesse una cosa diversa invece che tessere la tela nella quale resterà impigliata, ma il ragno non può farci proprio nulla.
La conclusione a questo segmento del pensiero heideggeriano è che l’attività principale dell’uomo è autoinventarsi e dare forma a se stesso: in questo sta la sua origine e la sua differenza specifica. E certo Heidegger non è stato il primo a sostenere ciò: questa prospettiva, fondamentale nell’idea dinamica secondo l’essere umano si fa da se stesso, ebbe un’importanza centrale nella definizione della dignità umana operata da Giovanni Pico della Mirandola, un filosofo rinascimentale. Secondo Pico, come racconta nella sua opera principale l’Oratio pro hominis dignitate, Dio ha assegnato a ognuno degli esseri viventi un posto nella scala dei viventi, attribuendo ad ognuno un essere specifico, che lo fa essere né più né meno quello che è (insomma, ha deciso che le api facciano gli alveari, i castori le dighe, i ragni le ragnatele….). Ma all’uomo Dio non ha assegnato un posto suo proprio, egli è un elemento mobile in mezzo a figure incapsulate, un “magnifico camaleonte”, capace di scendere in basso a livello animale, o ascendere verso l’alto a livello di Dio. E Pico lascia che sia proprio Dio a parlare e a certificare questa peculiarità umana:

“Non ti ho dato, o Adamo, né un posto determinato, né un aspetto proprio, né alcuna prerogativa tua, perché quel posto, quell’aspetto, quelle prerogative che tu desidererai, tutto secondo il tuo voto e il tuo consiglio ottenga e conservi. La natura limitata degli altri è contenuta entro leggi da me prescritte. Tu, non costretto da nessuna barriera, la determinerai secondo il tuo arbitrio, alla cui potestà ti consegnai. Ti posi nel mezzo del mondo perché di là meglio tu scorgessi tutto ciò che è nel mondo. Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che avresti prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori che sono i bruti; tu potrai, secondo il tuo volere, rigenerarti nelle cose superiori che sono divine”.

Ma quale è, secondo voi, la vera natura dell’uomo? Che cosa ci rende veramente umani? In che cosa consiste questo poter-essere? Come realizzarlo al meglio? Siamo certi che questo nostro poter-essere sia una possibilità piena ed infinita, e non sia, al contrario, limitata e circoscritta?

6 commenti:

  1. Personalmente credo che l'uomo sia l'essere più complesso e perfetto presente sulla terra;basti pensare alle sue caratteristiche fisiche,al modo in cui i suoi organi funzionano,all'intelligenza ed alle cose che è in grado di fare e di inventare. Ma sono anche convinta che anche se,come sostiene Heiddeger,siamo stati "gettati" in questo mondo,beh,ciò non sia successo per caso,o senza uno scopo.. C'è senza alcun dubbio una mente eccelsa e superiore che a voluto noi fossimo dove ci troviamo,con chi ci troviamo anzichè su Marte o sottoforma di una farfalla o di un pesce.
    Ho trovato molto bella l'introduzione al libro di Ermanno.B, ma non sono completamente daccordo con lui;credo che i filosofi siano in grado di di dare un esempio a chi lo ricerca,ma non è sempre vero che si sà tutto quello che i filosofi pensano o dicono poichè nonostante tutti i documenti su di essi,i loro pensieri,non possiamo sapere fino a che punto essi siano veri,se avessero anche loro i propri segreti come in fondo ognuno di noi e sono daccordo con Galileo Galilei che dice: "Tu non puoi insegnare niente ad un uomo,tu puoi APPENA aiutarlo a trovare la risposta dentro te stesso".
    Francesca Cappugi 3EL

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  2. La questione se tutto sia demandato al "caso", oppure sia ordinato da una "mente superiore" è un problema vecchio quanto la filosofia ed avremo modo di vedere ben presto diverse posizioni a questo proposito. La tua osservazione quindi è ben posta e molto seria. Per quanto riguarda la conclusione del tuo commento non posso che essere assolutamente d'accordo con te e con il vecchio Galileo. In fondo, sia tu che lo scienziato pisano la pensate come Socrate che cercava di "insegnare" ai giovani ateniesi ma in un modo molto diverso da come facevano tradizionalmente i suoi colleghi. Socrate pensava che, una volta sgombrata la mente dei suoi interlocutori dai pregiuidizi, non si dovesse comunicare nessuna verità, ma solo aiutarli a trovare, dentro se stessi, la propria. Quest'arte Socrate la chiamava "maieutica", ma avremo modo di tornarci su (purtroppo non molto tempo!!!).
    I filosofi devono solo aiutarci a mettere in dubbio opinioni precostituite ed a stimolarci come tafani, ma siamo noi stessi, con la nostra unicità, con la nostra propria personalità, a dover trovare le risposte. Le troveremo?

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  3. Mica sn tanto d'accordo con questo Pico!!! Noi nn c "posiamo" nel mezzo del mondo d nostra spontanea volontà! Noi nasciamo x quelle ke a mio avviso sono una fortunatissima serie d circostanze! questo "Dio" c ha fatto sì cm camaleonti, xké possiamo scegliere ciò ke essere. Ma nel crearci è stato molto ingiusto: nn ha permesso alla stragrande maggioranza delle persone d questo mondo d scegliere. Così cm noi nn decidiamo d nascere, milioni d persone in Asia, Africa e sud America vivranno un'esistenza nn fatta d scelte, ma d sacrifici e doveri, x la fame, le guerre.....xké io sn libera d andare a scuola e d vivere la mia vita cm + mi aggrada, mentre i bambini dell'argentina lavorano sottoterra nelle miniere? xké se io vivo in una casa con molto, ma molto + dello stretto necessario, le bambine dell'Africa fanno diversi kilometri a piedi ogni giorno solo x bere?
    Quindi possiamo scegliere d poter essere solo se nasciamo, se siamo gettati, nella parte "giusta" del mondo....cm suggedeva negli ultimi tempi della guerra: ki scendeva da un lato del treno finiva al freddo, alla fatica e alle torture dei lavori forzati del campo d concentramento, ki scendeva dall'altra parte andava direttamente a "farsi la doccia".
    Se nasciamo dalla parte sbagliata, anke nel mondo dv viviamo noi è possibili, nn credo s abbia la scela d poter essere, ma solo quella d essere.

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  5. Io credo che non esista LA vera natura dell’uomo. Credo che sia sbagliato “generalizzare”. Ogni uomo ha la PROPRIA natura, ogni uomo ricerca il meglio per se stesso, ogni uomo, appunto, è libero di scegliere il suo poter-essere. Ma c’è un limite a questo poter-essere?
    Qui mi ricollego a quello che ha detto Chiara.. Il nostro poter-essere è limitato prima di tutto dal “pezzo di mondo” in qui siamo stati “gettati”, dalla condizione politico-sociale del paese in cui viviamo.
    Noi si, è vero, che la mattina ci alziamo e abbiamo la possibilità di andare a scuola come se fosse la cosa più scontata del mondo ( e tutti ce ne lamentiamo ovviamente………), è vero che quando abbiamo sete prendiamo una bottiglia e beviamo… però il poter-essere di una persona secondo me, è limitato molto dall’esistenza delle altre persone. Mi spiego meglio… la libertà di dire, fare, pensare ciò che realmente vorremmo è inevitabilmente condizionata, e quindi contenuta, dal giudizio degli altri, da quello che “si fa, si dice, si pensa” come spiega Heidegger con il concetto della “mentalità del si”.
    Tutto questo per dire che secondo me, al nostro poter-essere, c’è sempre e comunque un limite al quale non possiamo sottrarci… totalmente per lo meno….

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  6. Penso che le condizioni politico-sociali influenzino particolarmente la vita di ogni persona,limitano anche il "poter-essere",ma nn lo eliminano. Sicuramente i bambini che fanno kilometri per bere hanno meno possibilita di intraprendere certi studi e certe carriere,ma hanno sicuramente la possibilta di scegliere in quel momento se camminare avanti,all'indietro,di correre o di rotolarsi per andare a prendere l'acqua.Penso che il "poter-essere" di ogni persona riguardi ogni attimo della propria vita e nn sia solamente limitato a cose che comunque hanno bisogno di determinate possibilita economiche e politiche purche accadino,anzi,penso che il "poter-essere"riguardi anche le piu piccole cose,come ad esempio il modo di camminare,di mettere i capelli,di afferrare qualcosa,cose che comunque TUTTE le persone compiono,sia in italia che in america che in africa.

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