Si comincia male, direi….Uno dei più importanti filosofi italiani, Remo Bodei, ci dice che la filosofia non serve a nulla. E questo, in fondo, è stato il rimprovero che da sempre è stato mosso alla filosofia. Lo dice anche un altro filosofo, spagnolo questa volta, Fernando Savater: «se si vogliono riassumere i rimproveri mossi alla filosofia in quattro parole, bastano queste: non serve a nulla. Più di chiunque altro i filosofi vogliono conoscere tutto lo scibile umano, ma in realtà non sono altro che ciarlatani, amanti della vacua verbosità. […] In fondo i filosofi si ostinano a parlare di ciò che non sanno: lo ammise anche Socrate, quando disse ‘so soltanto di non sapere’…». Un buon inizio, direte voi.
L’abitudine a ridere dei filosofi è antica come la filosofia. Si racconta che il primo di essi, Talete di Mileto, che incontreremo a breve, a forza di guardare il firmamento, cadde in un pozzo, provocando le risate di una serva che passava di lì. Scrive Platone in un suo dialogo intitolato “Teeteto”: «Talete, mentre stava scrutando le stelle e guardava in alto, cadde in un pozzo. Allora una servetta di Tracia, garbata e graziosa, rise dicendogli che si dava un gran da fare a conoscere le cose del cielo, ma le cose che gli stavano dappresso, davanti ai piedi, gli rimanevano nascoste». Talete, quindi, scruta l’universo, osserva le stelle (si narra infatti che fosse esperto delle cose del cielo e che fosse capace di prevedere eclissi), guarda in alto, irrimediabilmente più in alto di questo mondo abitato da cose che trascorrono e muoiono. Rapito dal pensiero, che si placa in questo contemplare, si distrae dal mondo terreno della vita quotidiana e precipita in un pozzo. A che serve, ride la servetta Tracia, guardare tanto in alto, se non si riesce a schivare un pozzo davanti ai piedi? Non è che la filosofia ci allontana da ciò che veramente è importante?
Strani davvero questi filosofi che preferiscono il cielo alla terra.
Ma Talete non è il solo ad essere oggetto di umorismo. Un commediografo ateniese, Aristofane, nel 423 a.C. mise in scena una delle sue più famose commedie (che avremo modo di spiegare e leggere, in parte…), Le Nuvole, dove si burla, con crudele sfacciataggine, del filosofo Socrate, suo contemporaneo: in una famosa scena lo presenta dentro un cesto, appeso ben in alto, per poter studiare meglio le stelle. Evidentemente Aristofane non era il solo ad avere questa idea di Socrate e la sua parodia fu condivisa da molti, visto che, qualche anno dopo, nel 399 a.C., il povero Socrate sarà condannato a morte e costretto a bere la cicuta, una bevanda velenosa che gli diede la morte.
Eppure con questi personaggi strani, che cadono nei pozzi perché presi a contemplare il cielo, dobbiamo imparare a convivere, addirittura dobbiamo imparare a dialogare. E impareremo anche, discutendo con questi tipi strani, che cadono nei pozzi e osservano e contemplano il cielo (in realtà anche la terra) che le cose non stanno come Bodei e Savater ci vogliono far credere. E lo sanno anche loro, che alla filosofia e allo studio della sua storia hanno dedicato tutta la loro vita di intellettuali.
Ma allora che cosa è questa filosofia? Che cosa dobbiamo chiedere a questa nuova disciplina? Non possiamo chiederle risposte chiare, non possiamo chiederle risposte sbrigative. Le chiediamo domande. La filosofia non risolve i quesiti della realtà (anche se, talvolta, qualche filosofo ha creduto il contrario), piuttosto coltiva la domanda, ci aiuta a mettere in risalto questo interrogare, ci insegna a domandare sempre meglio, ossia, come scrive Savater, “ad umanizzarci nella convivenza perpetua con il quesito”. Che vuol dire il filosofo spagnolo? Vuol dire che il porsi domande, il rivolgersi quesiti, essere in confidenza (e convivenza) con questo continuo interrogare è ciò che ci rende realmente uomini.
L’uomo è l’animale che fa domande e che continuerà a farle al di là di qualunque immaginabile risposta. Ed è anche l’animale che non si accontenta di guardare l’ombra dei suoi passi, ma alza gli occhi al cielo, esplora l’universo, alla ricerca di una risposta ai suoi perché, anche se è amaramente consapevole che alcune risposte stanno al di là delle sue possibilità di comprensione. Quindi, ci dispiace per la servetta Tracia, se vogliamo vivere una vita “da uomini” e non “da animali” dobbiamo correre il rischio di inciampare da qualche parte e, addirittura, di finire scaraventati in un pozzo.
Non possiamo sfuggire a questa condanna, quella di pensare, quella di domandare. A meno che non decidiamo di essere dei cavalli che invece di andare al trotto, o meglio al galoppo, se ne stanno abbandonati nella stalla a ruminare la biada, contenti solo di soddisfare i propri stomaci (vi ricordate il paragone di Socrate? Il tafano che stimola il pigro cavallo di razza?).
Lo diceva anche Blaise Pascal, un filosofo del XVII secolo: “L’uomo è manifestamente nato a pensare; qui sta tutta la sua dignità e tutto il suo pregio”. E diceva anche molte altre cose, ma le scopriremo più avanti. Buone domande.
L’abitudine a ridere dei filosofi è antica come la filosofia. Si racconta che il primo di essi, Talete di Mileto, che incontreremo a breve, a forza di guardare il firmamento, cadde in un pozzo, provocando le risate di una serva che passava di lì. Scrive Platone in un suo dialogo intitolato “Teeteto”: «Talete, mentre stava scrutando le stelle e guardava in alto, cadde in un pozzo. Allora una servetta di Tracia, garbata e graziosa, rise dicendogli che si dava un gran da fare a conoscere le cose del cielo, ma le cose che gli stavano dappresso, davanti ai piedi, gli rimanevano nascoste». Talete, quindi, scruta l’universo, osserva le stelle (si narra infatti che fosse esperto delle cose del cielo e che fosse capace di prevedere eclissi), guarda in alto, irrimediabilmente più in alto di questo mondo abitato da cose che trascorrono e muoiono. Rapito dal pensiero, che si placa in questo contemplare, si distrae dal mondo terreno della vita quotidiana e precipita in un pozzo. A che serve, ride la servetta Tracia, guardare tanto in alto, se non si riesce a schivare un pozzo davanti ai piedi? Non è che la filosofia ci allontana da ciò che veramente è importante?
Strani davvero questi filosofi che preferiscono il cielo alla terra.
Ma Talete non è il solo ad essere oggetto di umorismo. Un commediografo ateniese, Aristofane, nel 423 a.C. mise in scena una delle sue più famose commedie (che avremo modo di spiegare e leggere, in parte…), Le Nuvole, dove si burla, con crudele sfacciataggine, del filosofo Socrate, suo contemporaneo: in una famosa scena lo presenta dentro un cesto, appeso ben in alto, per poter studiare meglio le stelle. Evidentemente Aristofane non era il solo ad avere questa idea di Socrate e la sua parodia fu condivisa da molti, visto che, qualche anno dopo, nel 399 a.C., il povero Socrate sarà condannato a morte e costretto a bere la cicuta, una bevanda velenosa che gli diede la morte.
Eppure con questi personaggi strani, che cadono nei pozzi perché presi a contemplare il cielo, dobbiamo imparare a convivere, addirittura dobbiamo imparare a dialogare. E impareremo anche, discutendo con questi tipi strani, che cadono nei pozzi e osservano e contemplano il cielo (in realtà anche la terra) che le cose non stanno come Bodei e Savater ci vogliono far credere. E lo sanno anche loro, che alla filosofia e allo studio della sua storia hanno dedicato tutta la loro vita di intellettuali.
Ma allora che cosa è questa filosofia? Che cosa dobbiamo chiedere a questa nuova disciplina? Non possiamo chiederle risposte chiare, non possiamo chiederle risposte sbrigative. Le chiediamo domande. La filosofia non risolve i quesiti della realtà (anche se, talvolta, qualche filosofo ha creduto il contrario), piuttosto coltiva la domanda, ci aiuta a mettere in risalto questo interrogare, ci insegna a domandare sempre meglio, ossia, come scrive Savater, “ad umanizzarci nella convivenza perpetua con il quesito”. Che vuol dire il filosofo spagnolo? Vuol dire che il porsi domande, il rivolgersi quesiti, essere in confidenza (e convivenza) con questo continuo interrogare è ciò che ci rende realmente uomini.
L’uomo è l’animale che fa domande e che continuerà a farle al di là di qualunque immaginabile risposta. Ed è anche l’animale che non si accontenta di guardare l’ombra dei suoi passi, ma alza gli occhi al cielo, esplora l’universo, alla ricerca di una risposta ai suoi perché, anche se è amaramente consapevole che alcune risposte stanno al di là delle sue possibilità di comprensione. Quindi, ci dispiace per la servetta Tracia, se vogliamo vivere una vita “da uomini” e non “da animali” dobbiamo correre il rischio di inciampare da qualche parte e, addirittura, di finire scaraventati in un pozzo.
Non possiamo sfuggire a questa condanna, quella di pensare, quella di domandare. A meno che non decidiamo di essere dei cavalli che invece di andare al trotto, o meglio al galoppo, se ne stanno abbandonati nella stalla a ruminare la biada, contenti solo di soddisfare i propri stomaci (vi ricordate il paragone di Socrate? Il tafano che stimola il pigro cavallo di razza?).
Lo diceva anche Blaise Pascal, un filosofo del XVII secolo: “L’uomo è manifestamente nato a pensare; qui sta tutta la sua dignità e tutto il suo pregio”. E diceva anche molte altre cose, ma le scopriremo più avanti. Buone domande.
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminaCome preambolo introduttivo, devo dire, niente male! "La filosofia non serve a nulla. Però neanche la salute serve a nulla. Neanche la musica di Mozart."
RispondiEliminaPartiamo dal presupposto che io non conosco quasi per niente la filosofia. E partiamo dal presupposto che, questo stile di vita, ci chieda domande in cambio di altre domande. Mi chiedo, allora, cosa è PER ME la filosofia? C'è una risposta, a questa domanda? Forse, ce ne sono troppe. E' un modo di vivere. Ma questa non è certo una risposta filosofica! Se, però, mi chiedessero di rappresentarla, disegnerei la filosofia come un pozzo, proprio quello in cui è caduto Talete. Un pozzo che riflette le stelle, ma che, al tempo stesso, racchiude al suo interno il terreno, la terra con la sua materialità. Perchè in fondo, le domande che ci impone questa filosofia, sono al contempo materiali ed irrazionali. Dipende dalle risposte che uno si aspetta. Ecco, io, dalla filosofia, mi aspetto di non ricevere alcuna risposta. Di rimanere intrappolata sulla superficie dell'acqua, in attesa di uscire dalla minorità, come la definisce Kant, per entrare a far parte di una vita che so comandare. Mi aspetto un aiuto, uno stimolo a pensare, ad allontanarmi da convenzioni ed imposizioni. Per questo non mi sento proprio di definirla inutile. Inutile, si, proprio come la salute.
bè, proprio proprio inutile nn è, diciamocelo!
RispondiEliminaIn fondo le menti + brillanti ke il genere umano abbia mai visto d mestiere facevano i filosfi. Il problema Sara, è ke a me e a te tutte queste cose piacciono molto, è ho paura ke a forza d sforsarsi d leggerle x riuscire a pensare con la nostra testa, è ke finiremo col pensare con il cervello d gente morta da centinaia d anni.
X avere un'idea tutta nostra, una visione del mondo fatta solo da noi, senza alcuna influenza esterna, dovremmo fare come Arturo, ke trascorre la sua vita a Procida, sognando sì il mondo esterno, ma anke riflettendo da solo su come il mondo dovrebbe essere, e come invece è.
Beh, Chiara, ci vuole un pò di giudizio in ciò che facciamo! Sono sicura che se mi buttassi a capofitto nella filosofia, mi ci perderei dentro, scordando di rimanere sui binari della ragione. Ecco che ritorna, l'insegnamento della filosofia. Restare sui fili del razionale, uno dei principi maggiori della disciplina, entro le proprie emozioni ed idee, cercando di assorbire l'influenza altrui senza per questo annullare noi stessi. Come diceva Freud, il nostro Ego è "servo di tre tiranni", tra cui il maggiore, il super-ego, è proprio dato dalle influenze e dalle imposizioni esterne.E queste comprendono le cose banali, e le cose complicate. Come la filosofia. Secondo me, sta a noi trovare un equilibrio tra Ego e Super-ego, e questo si può fare proprio grazie alla ragione. Poi, non mi addentro più di tanto nei meandri della psicologia, il cervello è più complicato della filosofia stessa!
RispondiEliminaPosso solo dire che non mi trovo d'accordo con te sul tuo metodo per "avere un'idea tutta nostra". Lontano dalle influenze esterne l'Io interiore certamente ne guadagna, ma come si può riflettere sul mondo, se non ne siamo in contatto? Già è difficile capirlo, e seguirlo passo per passo, adesso che ne facciamo parte e ci evolviamo con lui. Sono dell'opinione che, perdendo i contatti con il mondo, perderemmo anche i contatti con la realtà. E non avendo una società all'interno della quale distinguerci, finiremmo per diventare comunque "tutti e nessuno".
Ma lo vd??? Hai capito!!! Nn siamo in contatto con la società, ma con il mondo sì!!!! Puoi vivere, vedere come si comportano gli altri esseri intorno a te, studiare tutto ciò ke la società, da noi creata, ignora o semplicemente si rifiuta d vedere!!! Guarda Into the Wild (il film è + bello del libro x la prima volta a memoria d'uomo), guarda cosa fa Chris!! Tenta d uscirne! E uscirne nn significa necessariamente stare soli! Né (tento d spiegarmi meglio) bisogna del tutto abolire la società, altrimenti saremmo peggio degli animali! Dovremmo bensì crearne una nuova e + semplice, priva d dogmi e d paure, dv tutti sn liberi d pensare ciò ke vogliono e ke tutti si rispettino x ciò ke sn!!!
RispondiEliminaBravissime, il vostro è proprio un bel confronto che sa di filosofia. Molte delle cose che dite avrebbero bisogno di un commento.
RispondiEliminaPer prima cosa mi è piaciuto molto il paragone della filosofia e del pozzo, lo trovo, oltre che poetico, anche molto concreto e capace di rispecchiare una disciplina che guarda e riflette le stelle, ma che non perde il contatto con la terra. Come vedremo, per molti anni i greci si interessarono della "physis", cioè della natura, per poi lasciare altri filosofi ad occuparsi di politica, di leggi, di etica ecc. Molti infatti sostengono che Socrate abbia portato "la filosofia dal cielo alla terra". Per quanto riguarda il rapporto con la società, può nascondere certo degli inganni e dei trabocchetti, può farci correre il rischio di mimetizzarci e di essere avvolti dall'anonimia della mentalità del sì, ma noi non seremmo uomini (e donne...di nuovo perdono!!!) se non fossimo dentro una società. Aristotele diceva che l'uomo è un "animale politico". Ricordate che nessuno diventa umano da solo: ci facciamo umani gli uni con gli altri. E' come se ricevessimo l'umanità per contagio. "Into the Wild" è un film bellissimo (una regia strepitosa e una ancora più strepitosa fotografia)...ma dimostra proprio che dalla società non sia possibile uscire, pena la fine del nostro "essere umano". Il problema, allora, una volta stabilita la necessità della società e di una comunità di appartenenza, è proprio quello di capire come viverci, come starci, come respirarne l'aria, il linguaggio, la cultura, senza correre il rischio del mimentismo. Ma c'è tempo...Grazie dei vostri pensieri, li trovo estremamente preziosi.