mercoledì 22 settembre 2010

Inautentici o autentici? Questo è il problema...

L’uomo è scaraventato sulla terra, costretto ad abitare questo mondo e non un altro, a respirarne la cultura, la visione del mondo, ad assorbirne i pregiudizi. Quando Heidegger afferma che l'esserci ha già una certa comprensione del mondo, contrassegnata anche da una particolare situazione affettiva, intende dire che l'esserci incontra il mondo sempre alla luce di certe idee, di certi preconcetti che ha respirato nel contesto socio-culturale in cui è “gettato” e si trova a vivere. La preliminare comprensione l’uomo ha del mondo coincide, quindi, con l'adesione immediata e spontanea, e quindi acritica, ad un mondo storico e sociale che ci precede e che è caratterizzato da un insieme di idee e di pregiudizi , cioè da un determinato modo di percepire e valutare le cose.

Ad Heidegger fa eco Antonio Gramsci in una pagina molto densa dei suoi Quaderni dal carcere: “Per la propria concezione del mondo si appartiene sempre ad un determinato raggruppamento, e precisamente a quello di tutti gli elementi sociali che condividono uno stesso modo di pensare e di operare. Si è conformisti di un qualche conformismo, si è sempre uomini-massa o uomini-collettivi”. Ognuno di noi, in altri termini, ha assorbito, insieme al linguaggio, che già “contiene una determinata concezione del mondo”, precisa Gramsci, un insieme di valori, di norme, di comportamenti.

Certo l’omerico Ettore che, nell’Iliade, aspetta Achille, furioso campione degli Achei, per scontrarsi con lui, pur sapendo che questi è più forte di lui e che probabilmente lo ucciderà, non è “programmato” dalla natura per combattere, per fare l’eroe, non è affidato necessariamente a quel destino. Ettore avrebbe potuto darsi malato, o dire che non aveva voglia di affrontare uno più forte di lui. Avrebbe potuto travestirsi da donna e fuggire, oppure inventare una nuova religione che diceva che non bisogna lottare contro i nemici ma porgere l’altra guancia quando ci schiaffeggiano. Certo però, se ci pensiamo bene, anche se questi comportamenti non sono “impossibili” (mentre un castoro che fa alveari e un’ape che costruisce dighe lo è….), sarebbero però da considerare alquanto strani. Perché Ettore apparteneva ad un mondo e non ad un altro ed era stato educato in base a certe tradizioni, abitudini, moduli di comportamento, leggende…in poche parole fin dalla culla ad Ettore, come ad ognuno di noi, è stata inculcata la fedeltà a certe cose e non ad altre. Ettore era stato educato fin da piccolo ad essere un buon guerriero al servizio della sua città e gli avevano detto che la vigliaccheria è una cosa abominevole, indegna di un uomo. Insomma, anche lui, in un modo meno forte, era programmato culturalmente ad agire così. Pensate che Ettore avrebbe potuto dire “andate al diavolo!”, oppure no? Voi che dite? Quanto è forte, in ognuno di noi, il condizionamento culturale?

Ma torniamo ad Heidegger, dopo aver ringraziato Fernando Savater che mi ha prestato questo esempio omerico nel suo bel libro “Etica per un figlio” (libro che, come si capisce dal titolo parla di etica, cioè di una branca della filosofia. Libro che, tra l’altro, vi consiglio, fa sicuramente riflettere…).

L’essere gettato, per il filosofo tedesco, fa inevitabilmente scadere la nostra esistenza nell'inautenticità di un atteggiamento anonimo, nel riconoscimento in una specie di io collettivo, quello del “si” impersonale. L’uomo, infatti, ha una spontanea tendenza a comprendere il mondo secondo la mentalità collettiva, a pensare quello che comunemente “si” pensa, a dire quello che solitamente “si” dice, ovvero a vivere quello che Heidegger chiama il mondo del “si” impersonale, dove ognuno di noi si mimetizza, perde i propri contorni, diventa irrilevante. Nella vita quotidiana, dove domina incontrastata una dimensione inautentica, ognuno è come l'altro, l'uomo non è se stesso, ma è tutti e nessuno, poiché è calato in una dimensione in cui dominano incontrastati il “si dice” e il “si fa”. Vengono alla mente le parole di uno scrittore tedesco che, in un modo penetrante e diretto, ha descritto la stessa opacità dell’uomo, il suo perdersi nell’anonimato del pensare comune. Pochi anni dopo la pubblicazione di Essere e tempo, Robert Musil così descriveva l’uomo del suo tempo:

«“E’ molto apprezzabile che un uomo, ai nostri tempi, aspiri ancora ad essere completo”. “Macchè, non è possibile”, opinò Ulrich. “Prova a dare un’occhiata al giornale. E’ assolutamente impenetrabile. Vi si parla di tante cose, che non basterebbe il cervello di un Leibniz per capirle. Ma non ce ne accorgiamo nemmeno; siamo diventati diversi. Non c’è più un uomo completo di fronte ad un mondo completo, ma un qualche cosa di umano che si muove in un comune liquido nutritivo» (R. Musil, L’uomo senza qualità).

Alle parole della letteratura fanno eco quelle della filosofia:

«Il Si, come risposta al problema del Chi dell’esserci quotidiano, è il nessuno a cui ogni esserci si è abbandonato nell’indifferenza del suo essere-assieme» [M. Heidegger, Essere e tempo].

Nelle pagine di Essere e tempo troviamo la descrizione di un Esserci che non vive del suo proprio “poter-essere”, ma viene vissuto da parte del “si”: “ognuno è gli altri, nessuno è se stesso”, scrive Heidegger. Questi “nessuno” si muovono su un comune palcoscenico e recitano una parte spettrale, che altri hanno scritto per loro. L'uomo, infatti, in questa dimensione dell’inautenticità si allontana da sé, coprendo le potenzialità che lo caratterizzano, appiattendo il poter-essere sull'essere del “si”: noi non possiamo sfuggire a questa mentalità generica ed impersonale, non possiamo cioè evitare di essere legati a questo modo, anonimo ed irresponsabile, di interpretare le cose:

Come si definisce, allora, in contrapposizione a ciò, l'esistenza autentica? L'autenticità opera, rispetto all’inautenticità, una sorta di contro-movimento: quello grazie al quale l'essere si definisce autenticamente come possibilità e sceglie il poter-essere più proprio. L'autenticità è come una seconda nascita, è un venire di nuovo al mondo, poichè consiste nell'appropriarsi della propria esistenza, sottraendola all'anonimia e recuperandone le possibilità. Questo significato è connesso al senso etimologico letterale della parola tedesca che traduce “autenticità” (Eigentlichkeit), parola riconducibile all'aggettivo “proprio” (Eigen). E' infatti autentico l'esserci che si appropria di sé, cioè che si progetta secondo la propria possibilità, scegliendo di vivere inventando il suo futuro e tendendo costitutivamente ad esso.

Si tratta solo di trovare la nostra strada, di progettare il nostro essere in modo più autentico, in modo più proprio. Si tratta, forse, solo di libertà. Ma ne siamo veramente in grado? Siamo proprio in grado di de-condizionarci, di non essere, come dice Gramsci, "conformisti di qualche conformismo"?


1 commento:

  1. Prof sono passata a vedere come era il suo blog e devo dire che sta venendo molto interessante!! Complimenti..
    Soffermandomi su questo post, ho compreso anche meglio le cose spiegate in classe, ed è molto divertente l'esempio su Ettore!
    In molti secondo me continuano a vivere nella mentalità del "si" perchè non sentono nemmeno il bisogno di riuscire a distinguersi dalla massa, probabilmente anche per pigrizia, e con questo possiamo collegarci con la definizione di minorità che ha dato Kant, in cui l'uomo è pigro e lascia per comodità il suo "controllo" ad un tutore.
    Dentro questa pigrizia l'uomo non ragiona nemmeno sulle sue capacità e si lascia trasportare dalla corrente sociale, si lascia condizionare da ciò che fanno gli altri, senza nemmeno chiedersi per quale motivo si faccia un'azione invece di un'altra; ha un pensiero perche "si pensa" così, non ha più una sua mentalità e una sua identità precisa.
    Credo che invece ognuno di noi dovrebbe guardarsi dentro e capire quali sono le proprie idee ed agire perchè abbiamo qualcosa in cui credere; ogni persona ha diversi stati d'animo, pensieri e qualità, e per questo motivo, se tutti cercassero la loro autenticità, si eliminerebbe di conseguenza la mentalità del "si" impersonale.
    Buona fortuna per il continuo del blog!

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