Ci siamo lasciati con la parola libertà. Forse è proprio la libertà che fa la differenza, la libertà di scegliere, il più autonomamente possibile (ma è possibile????). Sentite cosa scrive della libertà Zygmunt Bauman, nel 1988: “La libertà nacque come privilegio e tale è rimasta da allora. La libertà divide e separa. Separa i migliori dal resto. Deriva il suo fascino dalla differenza: la sua presenza o la sua assenza riflettono, segnano e stabiliscono il contrasto fra ciò che è alto e ciò che è basso, fra ciò che è bene e ciò che è male, fra ciò che è desiderabile e ciò che è ripugnante” (Z. Bauman, La libertà).
Duecento anni prima, un filosofo prussiano di nome Immanuel Kant, pubblicava su una rivista un saggio dal titolo “Che cos’è l’illuminismo?”, dove dava una strana definizione, che possiamo definire di tipo etico-esistenziale:
“L’illuminismo é l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità é l’incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stessi é questa minorità se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di servirsi del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! E’ questo il motto dell' illuminismo”.
Decisione e coraggio, parole centrali in questo passo kantiano. Appare qui con estrema chiarezza che Kant definisce l’illuminismo come una fuga, un’uscita, un esito. L’illuminismo è lasciarsi indietro un mondo e spingersi a vele aperte verso qualcosa di ignoto e, per questo, pericoloso.
Continua Kant:
“La pigrizia e la viltà sono le cause per cui tanta parte degli uomini, dopo che la natura li ha da lungo tempo fatti liberi da direzione estranea (naturaliter maiorennes), rimangono ciò nondimeno volentieri per l’intera vita minorenni, per cui riesce facile agli altri erigersi a loro tutori. E' tanto comodo essere minorenni! Se ho un libro che pensa per me,un direttore spirituale che ha coscienza per me, un medico che decide per me sulla dieta che mi conviene, ecc., io non ho più bisogno di darmi pensiero da me. Purchè io sia in grado di pagare, non ho bisogno di pensare: altri si assumeranno per me questa noiosa occupazione”.
E’ comodo essere minorenni, è comodo affidarsi al pensiero altrui, è comodo rinunciare a quello che Gramsci chiama “il lavorio del proprio cervello”. Ma non è che scegliendo questa comodità ci abbassiamo al livello dei bruti, come diceva Pico, anziché innalzarsi al livello di Dio? Kant rimanda tutto all’individuo, al coraggio che l’individuo deve trovare per liberarsi dallo stato di minorità. Ma siamo sicuri che sia così semplice come Kant ci vuole far credere? Ma non è che, per caso, dentro la minorità, non solo ci stiamo comodamente, ma non sappiamo di esserci? Siamo sicuri che non abbiamo così tanto “naturalizzato” questa condizione da non essere più in grado di riconoscerla?
Mi viene in mente Kafka. In Relazione per un’Accademia, la scimmia Rotpeter è diventata un uomo a tutti gli effetti, tanto che racconta davanti all’Accademia la storia della sua trasformazione, della sua “umanizzazione”, dal momento in cui fu catturata al momento in cui imparò a parlare e ad essere dunque accettata dalla nobile comunità degli umani. Dopo la cattura, la scimmia si svegliò in una gabbia, troppo bassa per stare in piedi e troppo stretta per stare seduta (allora se la usiamo come simbolo della minorità, non mi pare così tanto comoda!!!!), Osserva l’ex scimmia:
“Si ritiene vantaggioso custodire le bestie in questo modo nei primi tempi della prigionia; e oggi, in base alla mia esperienza, non posso negare che, umanamente parlando, sia effettivamente così”.
Gli animali sono in questo modo ammorbiditi e disponibili a ricevere l’ammaestramento. Cosa effettivamente li dispone a ciò? L’impossibilità di una via d’uscita. L’ex scimmia aveva sì scoperto una fessura, ma proprio di fessura si trattava, insufficiente a far passare persino la coda. In una condizione siffatta:
“O sarei morto presto e, se fossi riuscito a sopravvivere a sopravvivere al primo periodo critico, sarei stato molto facile da ammaestrare”.
In una situazione come questa descritta da Kafka, alla domanda se l’uscita dalla minorità sia tutta da attribuire alla volontà individuale, alla decisione e al coraggio di cui parla Kant, la risposta è negativa, perché l’uscita dalla minorità, la ricerca di “una maglia rotta nella rete”, è assolutamente impossibile. Alla scimmia non resta che lasciarsi ammaestrare, non resta che diventare uomo, non resta che mimetizzarsi e accettare l’assimilazione che le viene richiesta, assimilazione alle sue leggi, alle sue regole, non resta che farsi “colonizzare”. A questo punto l’uscita dalla minorità diventa solamente apparente.
Voi chi scegliete tra Kant e Kafka? Siamo sicuri che sia così semplice trovare un’uscita, una fuga, quell’Ausgang di cui parla il filosofo dell’Illuminismo? Non è che siamo imprigionati in una caverna, incatenati fin da piccoli, a tal punto che sia impossibile riconoscere la nostra condizione come innaturale? Ma alle caverne torneremo con Platone, caverna che, illuminata dalle parole di Kant, vedremo con maggiore luce.
“Cerca una maglia rotta nella rete
Che ci stringe, tu balza fuori, fuggi!
Va, per te l’ho pregato. Ora la sete
Mi sarà lieve, meno acre la ruggine”
(Eugenio Montale, In limine)
"Agisci sempre in modo da considerare l'umanità della tua persona nella persona di ogni altro.Considera gli uomini come fine e nn come mezzo"
RispondiElimina[Kant]
Personalmente ritengo che, come in molti casi, la verità si trovi nel mezzo.
RispondiEliminaKant fa un ragionamento giusto che tutti, al modico costo di aprire un pò la mente, possiamo capire con facilità: ci troviamo in uno stato di minorità che è, sì, imposto dalle condizioni esterne che ci cullano fin da piccoli, ma è agevolato soprattutto da noi che, comodi nella nostra "carrozzella", come la definisce Kant stesso, non riceviamo alcun impulso, troppo spesso, a " camminare da soli". E' vero quindi che noi in persona ci costruiamo la nostra gabbia, che può essere d'oro o di vetro tagliente, ma resta comunque una gabbia che ci impedisce di muoverci liberamente. D'altro canto, però, dobbiamo teer presente la teoria dell'essere gettati, che torna ad imporre un freno alle supposizioni accusatorie di Kant: noi non scegliamo in che contesto crescere. Semplicemente nasciamo. C'è chi nasce a Follonica, in Italia, ed ha la fortuna di andare a scuola ed aprire la mente imparando materie come la filosofia, la psicologia, o anche solo la letteratura, e chi nasce in Africa, nella fame, senza un soldo per mangiare e che, quindi, non può permettersi di guardare una scuola neanche da lontano. Come possiamo pretendere che persone che lottano ogni giorno per la propria vita abbiano il tempo e la voglia materiale di uscire dalla carrozzella, e muovere passi ancor più pericolosi? E poi, siamo sicuri che loro ci nascano, in questa carrozzella? O è piuttosto una gabbia, come quella di Kafka, all'interno della quale vengono tenuti, fatti soffrire, ed ammaestrati?
Purtroppo, per quanto la filosofia attribuisca a tutti la "capacità di essere filosofi", la vita non sempre è così clemente. Posso solo dire che, nella nostra parte del mondo, Kant ha fatto la supposizione giusta: è così comodo restare nel guscio, protetti dall'esterno che ci spaventa, che spesso non ci accorgiamo neanche di aggrapparci alle superfici lisce per evitare di essere trascinati fuori.
Si, Sara ma dimentichi una cosa! La carrozzella, forse nn noi, ma qualcuno deve pur averla costruita! padri dei nostri padri, dei nostri padri e così dicendo la inventarono e da quel giorno nn ha fatto altro ke crescere, portando con se tutti i dogmi e tutti gli dei ke una generazione dopo l'altra si inventava! E' logico ke questa carrozzina sia diventata uno stramaledetto circolo vizioso! E' cm un bambino ke sale sulla giostra e ogni volta ke ha finito un giro scopre ke quello dp è gratis! Difficilmente scenderà! E lo stesso vale x noi, ke magari nn andiamo + sulle giostrine!
RispondiEliminaDOBBIAMO SMETTERE DI PENSARE COL CERVELLO DI ALTRI!!! E nn è tanto semplice cm sostiene Kant!!! Ki sa! Forse lui pensava già col suo cervellino quando è nato! Eppure sn sicura, ke nascosta in ognuno d noi c'è un po' della nostra personalità! Basta saperla cercare e usare! Poi va bn anke seguire la massa, purké lo si faccia d nostra spontanea volontà, senza aver prima ricevuto un lavaggio del cervello!
Sono d'accordo con te. Certamente qualcuno ha creato "la massa" (metaforicamente parlando)
RispondiEliminaE sono d'accordo sul fatto che sia un circolo vizioso, quello in cui ci siamo trovati. E lo sappiamo. Ed ecco che esce fuori la voglia di distinguersi, di andare per la nostra strada. C'è chi sa di vivere all'interno di una stanza, magari con le vetrate a mostrargli il mondo, ma non ha il coraggio ( e torna il coraggio di cui Kant ci imputa la mancanza) di rompere il vetro ed iniziare a vivere, e chi, consapevole di vivere in un posto più sicuro, decide ugualmente di uscire e diventare qualcuno. Quindi, resto dell'opinione che, per quanto certi dogmi, certi modi di pensare, siano stati così tanto interiorizzati da apparire ormai l'unica via possibile, chi condiziona la NOSTRA vita, il NOSTRO modo di pensare, siamo noi. E noi, solo noi, possiamo decidere che fare di noi stessi. Un libro, un filosofo, un amico, una persona che passa per strada, non può comandare qualcosa di così grande senza conoscerne ogni singola sfaccettatura. Questo, sempre nei confini della nostra parte fortunata del mondo.
Le vostre osservazioni sono puntuali, precise e molto acute. Ognuna di voi ha toccato un punto significativo delle riflessioni proposte da questo post. E mi sembra che, alla fine, tutte stiate discutendo sul concetto di libertà, chiedendovi se questa esista veramente, se e quanto possiamo essere effettivamente liberi, se vogliamo esserlo o meno. E fin qui, direi che ci siamo.
RispondiEliminaMa, secondo voi, sarebbe possibile vivere senza una gabbia che ci protegge (magari d'oro, invece che di vetro tagliente, che dite???), che ci accoglie, senza un punto archimedeo che ci sostenie,senza una comunità (per quanto conformante, omologante e spersonalizzante)che mi dia il senso di appartenenza? Non è che sensa ci sentiremmo allo sbaraglio, senza confini? Non è che, alla fine, ognuno di noi, ha bisogno di una stramaledetta tana, dove stare al calduccio?
Secondo me il concetto di libertà è molto delicato. Alla fine cos'è la libertà? Cosa intendiamo per libertà?
RispondiEliminaDipende dai punti di vista. La possiamo intendere da un punto di vista "Politico" ( liberi di scegliere chi votare, liberi di esprimere la propria idea politica, etc), dal punto di vista "religioso" ( liberi di scegliere in che Dio credere, o liberi di scegliere SE credere in Dio, etc...) e chi più ne ha più ne metta.
Ma la libertà “propria” di una persona esiste? Secondo me no. Perché non è vero che noi ci stiamo bene in quella “carrozzella” ( per lo meno.. io non ci sto per niente bene…), c’è chi ha il coraggio di uscirne, c’è chi c’ha provato e poi c’ha rinunciato. Perché non è possibile non essere condizionati dal pensiero altrui, non è possibile essere completamente liberi di scegliere la propria vita. Ci sarà sempre chi ci vuole “controllare”: i nostri genitori, i nostri amici, i nostri fidanzati…
La nostra libertà è limitata dallo stare con le altre persone ( ed è inevitabile stare con altre persone… quindi credo che una cosa ne implichi un’altra…). Mi viene in mente un pezzo de “L’alchimista” di Paulo Coelho: “Quando si vedono sempre le stesse persone…alla fine queste cominciano a far parte della nostra vita. E quando divengono parte della nostra vita, cominciano anche a VOLERLA MODIFICARE. Se non ci comportiamo come loro si aspettano si irritano. Sembra che tutti abbiano un’idea esatta di come dobbiamo vivere la nostra vita”.
Mi ricorda molto Kant quando parla dei tutori e della paura di uscire dalla “carrozzella”